Hai firmato un contratto milionario, senza pistola alla testa, anzi quasi il contrario, altalenando prestazioni eccellenti a prestazioni normali. Rispetti quel contratto, punto e basta.
Sei fermo da due anni e ti impunti su tutti i soldi da prendere, imprigionando la società?
Fai due partite super e chiedi l’aumento, ma giochi solo 10 partite e non posso ridurti l’ingaggio?
5 anni fa scrivemmo un articolo sulla paura del troppo potere dei giocatori e di certi procuratori che possono avere un impatto devastante sui conti di un’azienda, per di più senza la benché minima correlazione fra soldi, prestazioni e vittorie. Dopo 5 anni la paura è un rischio concreto, per me non più accettabile fossi un presidente o un dirigente.
Le bizze di Dybala danno fastidio. Se ami la maglia, hai un contratto da 7,5 milioni di euro all’anno e lo rispetti, punto. Altrimenti il primo “se” è falso.
L’atteggiamento di Higuain non piace. Praticamente un non professionista, in condizioni pietose per tutto l’anno e altri 7,5 milioni di euro netti intascati. Per uscire, servono nuovi soldi.
Stesso concetto per Khedira.
Il punto è che l’azienda calcio rischia costantemente il ricatto dei giocatori, e trattandosi di professionismo non si capisce il motivo per cui i contratti si rivedono solo e soltanto al rialzo, anche lontano due anni dalla scadenza. Mentre mai al ribasso se le prestazioni durante l’anno o la professionalità dimostrata non sono state all’altezza dell’ingaggio previsto.
Prima o poi, credo e spero, si arrivi al punto di stipulare contratti a rendimento, dove cioè i premi non sono extra, ma la regola, come nelle aziende vere, come fra professionisti veri: una parte fissa, poi tutto rendimento e diritti di immagine gestiti in modo corretto fra club (azienda) e giocatore (intendendo il suo staff).
Il rischio inverso sarebbe quello di un mondo del calcio che vive di passione, ma che perde (ha già in parte perso) il senso di appartenenza a colori e storia ai quali vengono sostituiti solo tanti zeri prima della virgola.