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Sacchi: e se ci limitassimo solo ai fatti?

Mai capito perché Arrigo gode di cotanta stima. E provo spesso a farmelo spiegare, ma continuo a non cambiare idea, né mi portano fatti e numeri per farmela cambiare.

Proviamo a fare ordine? Coi fatti, please?!

Gli inizi

Mentre si occupa di calzature, e appena pentitosi da tifoso interista, diventa allenatore del Fusignano in Seconda Categoria. Poi va al Bellaria in Serie D e si ritira momentaneamente tornando nell’azienda di calzature del babbo. Rientra a Cesena nel 1981, conquistando lo Scudetto Primavera. Alberto Rognoni lo nota e lo sponsorizza per fare seguire il corso di Coverciano. Arriva così il primo vero incarico, in C1, col Rimini. Arriva quarto, vincendo 1 partita ogni 3. E si conferma quarto anche l’anno successivo, vincendo 13 partite su 34. Approda alle giovanili della Fiorentina, ma Italo Allodi lo sposta a Parma appena retrocesso in C1.

Qui il primo risultato: Parma in Serie B, e bivio della sua vita quando batte il Milan in Coppa Italia a San Siro. Berlusconi se ne innamora e lo prende al Milan il 3 luglio 1987.

Gli anni del Milan

Talmente sicuro il buon Silvio che gli fa firmare un contratto annuale, mentre nelle segrete stanze degli uffici del Cavaliere si chiacchiera di un esperimento in attesa di idee più chiare e soprattutto del mega budget che avrebbe cambiato per sempre il calcio italiano. Girone d’andata zoppicante per Sacchi, con l’eliminazione dalla Coppa UEFA per mani dell’Espanyol. Ma poi accade l’imponderabile: la Juve di Marchesi non ingrana e non digerisce l’addio di Platini e si sgonfia, cede anche la Roma di Liedholm e Voller, Eriksson fatica a Firenze con la sua difesa a zona, mentre la Samp scommette sul duo Mancini-Vialli che però renderà in futuro. Il Milan rimonta a vince, grazie al 3-2 ai danni di Maradona. Al primo tentativo, Sacchi vince il campionato. Virdis è cannoniere con 11 reti. Maradona invece è il re dei bomber in A con 15 reti. Il Milan di Sacchi è tutto italiano, con l’innesto degli olandesi Gullit e Van Basten. Parentesi: tutto italiano come erano le norme dell’epoca.

E qui cambia la storia di Sacchi. Berlusconi apre tutti i portafogli, italiani ed esteri (come poi confermato da diversi processi a carico del Cavaliere), e prende Rijkaard e trattiene tutti i top italiani. Si leggano le carte di certi processi per scoprire i fondi utilizzati.

Nel 1988-1989 il Milan di Sacchi è terzo, ma porta a casa una Coppa dei Campioni sorprendente dove fa specie la sconfitta del Real Madrid per 5 gol a zero. Anche lo Steaua Bucarest crolla in finale per 4-0 a Barcellona. In quell’anno viene istituita anche la Supercoppa Italiana che Sacchi vince contro la Sampdoria.

Il Milan si assicura anche la Supercoppa UEFA contro il Barcellona e la Coppa Intercontinentale con un gol negli ultimi minuti dei supplementari di Evani. È il 1990, e il Milan fallisce solo il campionato vinto dal Napoli di Maradona, e la Coppa Italia contro la Juve. Ma sarà seconda Coppa dei Campioni contro il Benfica per 1-0.

Nel 1990-1991 arriva terzo in campionato. Qualche mese prima, Arrigo Sacchi denuncia al Presidente Berlusconi l’enorme stress che deve gestire e la richiesta di essere liberato per l’anno successivo, per un periodo di riposo. In Coppa dei Campioni subisce la batosta dell’Olympique Marsiglia.

Chapeau.

Non confermato, perciò la diamo col beneficio di inventario. Storie a Milano chiacchierano di un Berlusconi non proprio soddisfatto nonostante le vittorie passate, con peso della discussione spostata interamente sulla qualità della rosa. “O me o Van Basten” avrebbe detto Sacchi, e Berlusconi preferì tenere l’olandese affidando la panchina al dirigente della Polisportiva Milan Fabio Capello con zero esperienza in panchina, tranne la parentesi da traghettatore post Liedholm sempre al Milan e da vice l’anno prima. Con Capello Van Basten registrerà numeri impressionanti, e il Milan rivincerà tutto, aggiungendo giovani come Albertini, Rossi in porta e Massaro in attacco. Come a dire: la rosa valeva già da sola qualcosa.

Si riconfermerà in Nazionale?

Ci si aspetta dall’allenatore più forte di tutti i tempi per 2 anni di carriera una riconferma in altri lidi. Ma questo non avverrà.

Pochi mesi dopo la necessità del periodo di riposo, Sacchi accetta la guida della Nazionale Italiana. Subentra ad Azeglio Vicini che non si qualifica al Campionato Europeo del 1992 e per cui Sacchi può sperimentare serenamente. 1-1 contro la Norvegia al debutto, poi 2-0 contro il Cipro. Poi le riflessioni. Fa fuori Mancini, Zenga, Vialli, Bergomi, Giannini, De Agostini e l’idolo d’Italia Totò Schillaci. Motivi mai ben spiegati. 

Nonostante la rinuncia ai big, si qualifica per il Mondiale 1994 in USA dove San Roberto Baggio decide di accollarsi ogni responsabilità. La Nazionale Italiana è in realtà una sorta di Milan-Parma con qualche aggiunta varia. Si qualifica non si sa bene come per gli ottavi come migliore terza. A pochi minuti dalla fine dell’ottavo con la Nigeria è eliminato, ma Roberto Baggio decide di salire in cattedra e vince da solo la partita. Si ripete contro la Spagna (quando Signori, bomber in Serie A, si rifiuta di giocare centrocampista di sinistra) trascinando l’Italia in semifinale contro la sorprendente Bulgaria eliminata ancora dallo juventino Baggio con una doppietta.

La finale col Brasile è meglio non raccontarla. Pullman davanti la porta di Pagliuca, e buonanotte al rivoluzionatore del calcio zonista e a tutto campo. I rigori ci saranno fatali.

Il gruppo azzurro viene ancora sbagliato nel 1996 quando subiamo batoste da Germania e Repubblica Ceca all’Europeo finendo terzi nel girone ed eliminati. Servirà la sconfitta di novembre 1996 contro la Bosnia per costringere la Federazione a rimuovere Sacchi dalla guida dell’Italia.

Il ritorno spumeggiante al Milan

Torna così al Milan rilevando la panchina dell’esonerato Tabarez, accolto come il salvatore della patria, pronto per far rivivere al Diavolo anni di gloria.

Viene eliminato clamorosamente dalla Champions League per mano del Rosenborg, e viene umiliato dalla Juve di Lippi a San Siro con quel famoso 1-6, oltre a perdere il derby per 3-1. Finisce undicesimo in campionato, fuori dalle Coppe, peggior annata storica nell’era Berlusconi.

Il tentativo a Madrid, sponda Atletico

Si prende un anno sabbatico, ancora per evidenti motivi di stress. Decide nel giugno 1998 di accettare la sfida dell’Atletico Madrid in Spagna, amanti del buon calcio. Dura sette mesi e viene esonerato dopo 15 vittorie su 30 partite disputate. Dopo l’esonero annuncia il ritiro dalla carriera di allenatore, pontificando nelle trasmissioni TV di tutta Italia. Senza che nessuno gli chiedesse contezza dell’avventura azzurra e dell’esperienza spagnola. Mentre da Madrid chiedevano ancora chi fossero Torrisi, Serena e Venturin che Sacchi chiese di acquistare.

L’esonero fu cosa assai gradita comunque in casa Sacchi: oltre allo stipendio per intero, ovviamente, anche l’esercizio di una clausola che il suo legale mise e che obbligava l’Atletico Madrid “a versare 10 miliardi in caso di esonero“. Dal calcio totale, all’incasso totale.

Le due settimane a Parma

Due anni dopo il ritiro, l’allenatore annuncia di tornare nel calcio attivo a Parma, ma lo stress è ancora in agguato: due settimane dopo si dimette. 2 pareggi e una vittoria in campionato, oltre la sconfitta in Coppa Italia contro l’Udinese.

Ma 10 mesi dopo torna alla carica. Stavolta il posto è la scrivania, come Direttore Tecnico del Parma. Quarto posto e decimo posto sono i suoi risultati. Ma anche la scrivania è fonte di stress e si dimette nel maggio 2003, dopo aver augurato a Giraudo il peggio per uno Juve-Parma 2-2 nervoso. Peggio che puntualmente si verificherà, dopo anche una eccezionale previsione a Controcampo. Chissà perché fosse sicuro di Calciopoli, anni prima.

Il Real Madrid chiama, Arrigo si dimette

Florentino Perez lo nomina direttore dell’area tecnica del Real Madrid nel 2004 perchè vuole tornare a vincere. Gravesen a centrocampo è in effetti il perno della qualità attorno cui il Real Madrid riesce a racimolare un secondo posto in campionato (dove si susseguono tre allenatori), l’ottavo di Champions e l’ottavo in Coppa del Re. Si ripeterà anche l’anno successivo, con zero trofei. Intanto però, Sacchi è colto da problemi di estrés (stress in italiano) e si dimette.

Gli studi Mediaset

I successivi anni saranno memorabili negli studi Mediaset, sciorinando i soliti termini quali “no solisti”, “giocatori idonei al modulo”, “spartito” e una serie di domande curiosamente inutili nei vari Centrocampo e speciali Champions a cui gli allenatori rispondono col rispetto che merita un anziano al bar.

Mourinho rinuncerà alla risposta dicendo al microfono “questa è una domanda di un esperto di calcio, ma non posso rispondere in TV, solo in privato”. Non offrirà mai il caffé al buon Arrigo. Mentre Zlatan Ibrahimovic, forse non conoscendo i 2 anni di fuoco di Sacchi al Milan, gli tira un cazziatone invitandolo “a parlare meno”.

Italia chiama, Arrigo purtroppo risponde

Dopo 5 anni di pausa, nell’agosto 2010, nell’era drammatica post Calciopoli del Calcio Italiano, non si sa bene chi, decide che è Sacchi a dover riportare in alto le nazionali italiane. Sacchi accetta, lavorando fino a luglio 2014. Non accade nulla.

Usciti al primo turno prima di Sacchi, usciremo al primo turno dei Mondiali anche durante Sacchi (poi ovviamente si dimetterà). Sfioriamo l’Europeo nel 2012 asfaltati a Kiev dalla Spagna.

Le Under, focus principale del lavoro di Sacchi, falliscono tutto. Addirittura l’Under 20 riesce a non qualificarsi nell’era Sacchi al Mondiale, come l’Under 19, affidata ad Evani per 2 anni.

Ergo…

La domanda infine è: esclusi i 2 anni di fuoco, non vi è traccia di una conferma nei successivi venti anni, né in campo né dietro una scrivania, non conviene pertanto limitarsi a esaltare soltanto quei due anni, quando tutto è andato bene a lui, e tutto storto agli altri? Con una squadra fin troppo superiore che non avrebbe avuto difficoltà a vincere da sola? E al contempo aggiungere comunque i fallimenti, o la non ripetizione delle sue idee miracolose in altri contesti, alcuni anche importanti come Nazionale (dove per esempio Lippi ha lasciato il segno) e Real Madrid (dove Capello, con la stessa parabola di Sacchi, ha lasciato il segno addirittura due volte)?

Senza tirare in ballo paragoni ben più complessi e longevi, addirittura con molteplici conferme della bontà di lavoro in altri ambienti se non in altri mondi (mi viene da pensare a Marcello Lippi e Trapattoni, per guardare in casa nostra)?

In fondo, la domanda che poniamo è la seguente: se sei vincente, lo sei sempre. O no?!

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